𝒬uello che siamo soliti chiamare
Web potrebbe già non essere più il Web, ma una sua versione snaturata e svilita.
Julian Assange,
Jacob Appelbaum (
Tor Project,
Noisebridge),
Andy Müller-Maguhn (
Chaos Computer Club,
European Digital Rights) e
Jèrèmie Zimmermann (
La Quadrature du Net e mediattivista) non hanno mezze misure nel definire lo stato di salute di
Internet in
Cypherpunks, freedom and the future of the Internet (OR Books),
nuovo libro corale dell'hacker australiano, appena dato alle stampe negli
Usa da OR Books.
Il libro/dialogo - risultato di una lunga intervista realizzata per il programma tv di Assange andata in onda la scorsa estate - è un atto di accusa verso i rischi cui Internet può esporre chiunque la utilizzi a qualsiasi livello quando, da strumento straordinario di comunicazione e interazione, si trasforma in una macchina di censura e oppressione di enorme potenza. Le ragioni di questo cambiamento, che per gli autori è in atto, sono chiare e vanno trovate nella crescita esponenziale di alcuni fenomeni come la sorveglianza digitale e la sua commercializzazione, la mancanza di consapevolezza degli utenti sulle tecnologie che utilizzano, la censura e la costante "militarizzazione del ciberspazio", nuovo campo di battaglia anche per le guerre tradizionali.
Secondo gli autori, ma come già osservato da molti analisti, la Primavera araba e le battaglie contro i tentativi di censura della Rete (ricordate Acta e Sopa/Pipa?) hanno dimostrato come il Web sia diventato un nuovo terreno in cui, nella società digitale, le libertà fondamentali sono messe in discussione. Internet può essere un canale di organizzazione e condivisione senza precedenti e, allo stesso tempo, la più efficace arma di oppressione quando messa nelle mani dei governi autoritari. Ma non solo.
A detta di Assange e dei suoi interlocutori, infatti, i medesimi pericoli sono ora in atto anche nelle democrazie. La colpa è da trovarsi nel costante sviluppo dell'industria della sorveglianza digitale e al suo utilizzo sempre più massiccio da parte dei governi e delle corporation o in collaborazione tra di loro. Questo avrebbe portato a un'inversione di tendenza: dal controllo dei dati e delle informazioni su casi giudiziari e investigativi singoli, si sarebbe passati a una nuova fase di "sorveglianza strategica" in cui si tiene memoria di qualsiasi informazione per poi scandagliare alla ricerca di materiale sensibile.
Una sorveglianza cui chiunque, anche semplicemente stando su Facebook, sarebbe esposto. Questa "nuova distopia transnazionale" avrebbe reso "massicciamente intercettata" qualsiasi comunicazione privata, svolta in forma non digitale. E in particolari contesti come la Libia o la Siria la sorveglianza, per i risultati dittatoriali cui porta, diventerebbe un' "arma" a tutti gli effetti. La mancanza di consapevolezza nei confronti della tecnologia da parte degli utenti stessi insieme all'incapacità di intervenire su di essa, poi, porrebbe gli internauti in nuovi pericoli. Fino all'estremo di un moderno smartphone che, a detta di Assange, sarebbe "un device di tracciamento che fa anche telefonate".
Ma l'esposizione a questo genere di pericoli sarebbe ancora più semplice per via dell'attività di "spionaggio" realizzata legalmente dal settore privato quando interpellato dalle autorità. Google, Facebook e Twitter come "terze parti" per la sorveglianza di Internet grazie alla mole di dati sensibili che viene immessa sui loro server da parte degli utenti stessi. Come avere il controllo di queste informazioni sensibili se queste aziende si sono trasformate in "polizia segreta privatizzata", si chiedono gli autori.
La risposta data è da cercarsi nel titolo del volume, in quella filosofia cypherpunk, sposata a partire dagli anni '80 dai circuiti hacker più attivi sul fronte della crittografia e dei linguaggi informatici in grado di fornire segretezza e comunicazioni anonime. Tutti i partecipanti al dialogo che dà forma al libro provengono da quel milieu: privacy online, hacking, whistleblowing. I dettami di quella filosofia sarebbero nuovamente di primaria utilità e la diffusione su larga scala della crittografia potrebbe salvare Internet dalla distopia di controllo sociale e censura verso la quale si starebbe, invece, orientando. "Nessuna violenza potrebbe mai risolvere un problema matematico" dichiara Jacob Appleblaum nel libro per definire come i cypherpunk potrebbero essere da esempio in questo scenario.
La diffusione di software free, del peer-to-peer (già invocata da Applebaum all'ultimo Re:Publica di Berlino) e della crittografia darebbe agli internauti il giusto controllo sulle loro informazioni e sugli strumenti che utilizzano. Salvando Internet dalla centralizzazione, dal controllo e dalla censura. Uno scenario estremamente utopico, come segnalato da Laurie Penny New Statesman. "Usare Twitter è infinitamente più facile che creare un nuovo Twitter ed è infinitamente più semplice usare Facebook piuttosto che Diaspora o altre alternative [...] Abbiamo bisogno di qualcosa di più efficace del dire che necessitiamo di una versione povera di Facebook e che chiunque dovrebbe usarla", afferma lo stesso Assange. Ma il problema rimane, nei fatti, irrisolto.
Se, come afferma Assange nella chiosa del libro, "lo stato di sorveglianza ha già eroso buona parte delle libertà che avevamo venti anni fa", il pericolo è che la consapevolezza dei pericoli della Rete e della sua libertà futura rimarrà appannaggio di un'élite di tecnici. Un'élite di chyperpunk. Ma come trasportare questa consapevolezza nel grande pubblico di Internet? Gli autori, comunque, sono concordi: la strada è segnata. Da una parte c'è Internet come strumento di "privacy per i deboli e trasparenza per i potenti" e dall'altra la distopia. Il punto in cui siamo è il bivio.
Il libro/dialogo - risultato di una lunga intervista realizzata per il programma tv di Assange andata in onda la scorsa estate - è un atto di accusa verso i rischi cui Internet può esporre chiunque la utilizzi a qualsiasi livello quando, da strumento straordinario di comunicazione e interazione, si trasforma in una macchina di censura e oppressione di enorme potenza. Le ragioni di questo cambiamento, che per gli autori è in atto, sono chiare e vanno trovate nella crescita esponenziale di alcuni fenomeni come la sorveglianza digitale e la sua commercializzazione, la mancanza di consapevolezza degli utenti sulle tecnologie che utilizzano, la censura e la costante "militarizzazione del ciberspazio", nuovo campo di battaglia anche per le guerre tradizionali.
Secondo gli autori, ma come già osservato da molti analisti, la Primavera araba e le battaglie contro i tentativi di censura della Rete (ricordate Acta e Sopa/Pipa?) hanno dimostrato come il Web sia diventato un nuovo terreno in cui, nella società digitale, le libertà fondamentali sono messe in discussione. Internet può essere un canale di organizzazione e condivisione senza precedenti e, allo stesso tempo, la più efficace arma di oppressione quando messa nelle mani dei governi autoritari. Ma non solo.
A detta di Assange e dei suoi interlocutori, infatti, i medesimi pericoli sono ora in atto anche nelle democrazie. La colpa è da trovarsi nel costante sviluppo dell'industria della sorveglianza digitale e al suo utilizzo sempre più massiccio da parte dei governi e delle corporation o in collaborazione tra di loro. Questo avrebbe portato a un'inversione di tendenza: dal controllo dei dati e delle informazioni su casi giudiziari e investigativi singoli, si sarebbe passati a una nuova fase di "sorveglianza strategica" in cui si tiene memoria di qualsiasi informazione per poi scandagliare alla ricerca di materiale sensibile.
Una sorveglianza cui chiunque, anche semplicemente stando su Facebook, sarebbe esposto. Questa "nuova distopia transnazionale" avrebbe reso "massicciamente intercettata" qualsiasi comunicazione privata, svolta in forma non digitale. E in particolari contesti come la Libia o la Siria la sorveglianza, per i risultati dittatoriali cui porta, diventerebbe un' "arma" a tutti gli effetti. La mancanza di consapevolezza nei confronti della tecnologia da parte degli utenti stessi insieme all'incapacità di intervenire su di essa, poi, porrebbe gli internauti in nuovi pericoli. Fino all'estremo di un moderno smartphone che, a detta di Assange, sarebbe "un device di tracciamento che fa anche telefonate".
Kensan.it
Ma l'esposizione a questo genere di pericoli sarebbe ancora più semplice per via dell'attività di "spionaggio" realizzata legalmente dal settore privato quando interpellato dalle autorità. Google, Facebook e Twitter come "terze parti" per la sorveglianza di Internet grazie alla mole di dati sensibili che viene immessa sui loro server da parte degli utenti stessi. Come avere il controllo di queste informazioni sensibili se queste aziende si sono trasformate in "polizia segreta privatizzata", si chiedono gli autori.
La risposta data è da cercarsi nel titolo del volume, in quella filosofia cypherpunk, sposata a partire dagli anni '80 dai circuiti hacker più attivi sul fronte della crittografia e dei linguaggi informatici in grado di fornire segretezza e comunicazioni anonime. Tutti i partecipanti al dialogo che dà forma al libro provengono da quel milieu: privacy online, hacking, whistleblowing. I dettami di quella filosofia sarebbero nuovamente di primaria utilità e la diffusione su larga scala della crittografia potrebbe salvare Internet dalla distopia di controllo sociale e censura verso la quale si starebbe, invece, orientando. "Nessuna violenza potrebbe mai risolvere un problema matematico" dichiara Jacob Appleblaum nel libro per definire come i cypherpunk potrebbero essere da esempio in questo scenario.
La diffusione di software free, del peer-to-peer (già invocata da Applebaum all'ultimo Re:Publica di Berlino) e della crittografia darebbe agli internauti il giusto controllo sulle loro informazioni e sugli strumenti che utilizzano. Salvando Internet dalla centralizzazione, dal controllo e dalla censura. Uno scenario estremamente utopico, come segnalato da Laurie Penny New Statesman. "Usare Twitter è infinitamente più facile che creare un nuovo Twitter ed è infinitamente più semplice usare Facebook piuttosto che Diaspora o altre alternative [...] Abbiamo bisogno di qualcosa di più efficace del dire che necessitiamo di una versione povera di Facebook e che chiunque dovrebbe usarla", afferma lo stesso Assange. Ma il problema rimane, nei fatti, irrisolto.
Se, come afferma Assange nella chiosa del libro, "lo stato di sorveglianza ha già eroso buona parte delle libertà che avevamo venti anni fa", il pericolo è che la consapevolezza dei pericoli della Rete e della sua libertà futura rimarrà appannaggio di un'élite di tecnici. Un'élite di chyperpunk. Ma come trasportare questa consapevolezza nel grande pubblico di Internet? Gli autori, comunque, sono concordi: la strada è segnata. Da una parte c'è Internet come strumento di "privacy per i deboli e trasparenza per i potenti" e dall'altra la distopia. Il punto in cui siamo è il bivio.
Commento: